21 agosto. Ore indefinite, pomeriggio. Un pomeriggio come quello di ieri e quello di domani. Potrebbero essere le 15 come le 19. All’interno del centro commerciale c’è un cinema, un multisala. All’interno del multisala ci sono io. A scrivere seduto davanti ad un pannello sul quale si riconoscono, inconfondibili, i volti di Luì e Sofì: due youtuber che sono al loro secondo film. Io vendo i loro gadget.
Ciao Pa’. Ormai non dialoghiamo più lo so. Ed è anche tanto che non trascrivo qui i pensieri che butto giù su un quadernino.
È tanto che non ti scrivevo (per chi mi legge per la prima volta ci tengo a chiarire che mio padre è morto e lo so che non mi ascolta e non mi sente e che gli scambi sono sempre io che li scrivo. La psicologa però dice che servono). Forse perché stavo bene, forse perché non avevo tanto da raccontarti o forse perché, semplicemente, non avevo voglia. Forse scrivendo capirò il perché non ti ho scritto per tanto tempo.
Comunque papà, qua sono successe cose che è mejo che te ne sei annato. Ti faccio un sunto Carle’ (per chi fosse la prima volta che mi legge io papà lo chiamo Pa’, Carletto, e papà): un virus c’ha sderenato a tutti. Ma proprio a tutto il mondo è. Tanti so’ morti. Tanti so stati male, io pure pa’. Tanti non ce credono e, per loro fortuna e nostra sfortuna, non so’ morti. Questo ha portato due anni demmerda pa’. Gente che perde lavoro, poveri sempre più poveri e un tutti contro tutti che manco te devo spiega’. Poi la Roma ha preso Mourinho, lo so che stai a bestemmia’ ma adesso sta co’ noi ed è simpatico. Poi Gino Strada è morto. Poi i talebani hanno ripreso l’Afghanistan. Fatte anna’ bene ‘sto riassunto altrimenti chiedi al capo del Paradiso lì, ar Gestore che sicuro ne sa più de me.
Va beh, detto questo, io rientro tra quei poveri più poveri di prima, ma questa pure per te non è una novità. Certo sempre e comunque fortunato Pa’, nato dalla parte giusta del mondo, dalla famiglia giusta, nella città giusta quindi fortunato almeno 7/8 volte senza alcun merito. Privilegi che a volte pesano pure, ma questa è ‘na roba che vedrò con la psicologa non con te.
Tra tutte queste cose successe ad un certo punto, quando c’hanno chiuso dentro casa per diversi mesi senza pote’ usci’ se non per fare la spesa e cose simili, so’ usciti sui palazzi dei lenzuoli con su scritto: “Andrà tutto bene”. De base Pa’ erano degli stratagemmi per occupare il tempo de chi c’aveva i ragazzini a casa h24, 7su7. Tu, Carle’, pensa Damiano e Sophie che j’hanno combinato a quei due. Disegnare un arcobaleno con su scritto “Andrà tutto bene” credo fosse il minimo per evitare di commettere gesti affrettati ed inconsulti.
Alla fine però, tra inni di’italia cantati dai balconi, gesti di solidarietà inaspettati e molte altre cose, tutti s’eravamo convinti che sto “Andrà tutto bene” forse era vero. E tra sti tutti, papà, ce stavo pure io. Io che non ho questa grande fiducia nel genere umano, io che mi immolerei volentieri se servisse per creare da zero qualcosa di migliore, io che sono affascinato dal genere umano per poi rimanerne sempre inevitabilmente deluso, beh pure io c’avevo creduto. Ammetto, con enorme ritardo, che era solamente un autoconvincimento per non sopperire nel buio di domani.
Dicevano “Andrà tutto bene”, Pa’, dicevano. Eppure eccomi qua.
Al cinema di Parco Leonardo, a vendere gadget di due youtuber che fanno film, invece di farli io (come tanto speravo), ad avere di nuovo paura di domani e tornato a non dormire.
Io non me lo immaginavo così ‘sto “Andrà tutto bene”. Però tanto se c’è una cosa che mi hai insegnato, tuo malgrado, è che sono altre le cose che fanno davvero male. Certo non che aver smesso di lavorare alla Roma, non riuscire a raccogliere tutto ciò che con grande fatica abbiamo seminato in questi anni, fare di nuovo fatica a pagare l’affitto, ecco non che questo faccia meno male eh però in maniera diversa.
Ah, papà ho capito perché ti scrivo. Perché sono triste. È così. Ti scrivo e ti cerco ogni volta che sono triste. A volte, soprattutto i primi tempi, ti cercavo quando ero felice. Ti cercavo proprio fisicamente intorno a me, e il fatto di non trovarti mi intristiva. Poi ho accettato che non ci saresti più stato nei momenti felici della mia vita (ed è forse la cosa più dolorosa da superare) però in quelli tristi ti cerco ancora.
Ah, papà ho capito perché ti scrivo. Perché mi manchi. E perché non sto a vende manco na majetta de ‘sti “Me contro te” e c’ho tanto tempo libero per pensare.
Ah, papà ho capito perché ti scrivo perché mi sento solo da morire. Ed ho paura. Ti scrivo in maniera prettamente egoista con la presunzione che qualcuno, addirittura, legga e vada oltre le prime dieci righe che sono noiose e piene di retorica.
Però, papà pare che fa bene, almeno lo dice la psicologa. E poi ti scrivo pure per dirti che vòi o non vòi alla fine, non “Andrà tutto bene” manco per il cazzo ma forse un po’ meglio di così andrà.